di Gennaro D’Andrea
Frattamaggiore, città rinomata per il suo vivace panorama associativo, sembra, negli ultimi tempi, trovarsi di fronte a un dilemma che mina decisamente i principi fondamentali di trasparenza e inclusività.
Nonostante la presenza di un Albo delle Associazioni, strumento teoricamente pensato per garantire equità e trasparenza, sorge il sospetto che l’assessore all’associazionismo, o chi per lui delegato, potrebbe non comprendere appieno il suo ruolo, o peggio, potrebbe ignorare deliberatamente il suo scopo.
Il problema emerge quando il Comune progetta eventi sul territorio e decide di coinvolgere le associazioni locali. Qui si evidenzia un “modus operandi” discriminatorio, con la chiamata diretta solo di alcune realtà associative, mentre molte altre vengono escluse sistematicamente, senza alcuna motivazione plausibile.
Sorgono a questo punto, spontanee le domande:
Le selezioni si basano su preferenze personali, antipatie/simpatie o altri motivi che al momento ci sfuggono?
Perché non coinvolgere tutte le associazioni in una riunione per discutere dei futuri eventi sul territorio?
Questo atteggiamento mostrato da taluni amministratori pubblici, appare in netto contrasto con i principi di trasparenza, legalità e inclusione sociale troppo spesso sbandierati ma raramente rispettati.
Tale disparità nelle scelte può generare talvolta un senso di sfiducia nelle istituzioni, evidenziando un divario tra le parole pronunciate e le azioni compiute. La cittadinanza si ritrova a chiedersi a chi possano mai giovare talune scelte arbitrarie decisamente antidemocratiche.
La prassi “A chi figli e a chi figliastri” non giova certamente neppure all’immagine di una città troppo spesso silente e distratta, e questa contraddizione richiama assolutamente la necessità di un approccio più equo e trasparente soprattutto nel coinvolgimento delle associazioni sul territorio.
