Le esternazioni del Presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca, contro la Polizia e le offese volgari alla Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, hanno indignato la classe politica. Le reazioni dei politici del centrodestra sono state civili, a dispetto di una sinistra, e del Pd che ha mostrato tutta la sua debolezza politica.
Abbiamo incontrato l’europarlamentare Denis Nesci, quarantacinquenne, di origine calabrese, Presidente Nazionale del Patronato EPAS, dal 2022 è subentrato al Ministro Fitto, poiché primo dei non eletti nelle fila di Fratelli d’Italia.
Che idea si è fatto della mobilitazione del Presidente della regione Campania Vincenzo De Luca?
“Il Presidente De Luca continua a perseverare con le offese verso il Presidente Meloni e contro il governo.
Un modo di fare che non condivido e che rappresenta un’offesa per la democrazia, per le regole civili e per ogni codice di buon senso. Insomma, un messaggio pessimo”.
Secondo lei, perché il Partito Democratico e il suo segretario Schlein non hanno preso posizione?
“L’atteggiamento intimidatorio di De Luca, anche verso pubblici ufficiali, restituisce la fotografia di una decadenza politica, istituzionale e soprattutto umana. E c’è una partita interna nel Pd, a quanto pare, partito nel quale il presidente è mal digesto; e sembra che Elly Schlein sia incastrata in questa grande contraddizione politica, per la quale, lei considera – sbagliando a mio avviso – più conveniente evitare una presa di posizione netta”.
Ma nel merito, è giusta la battaglia di De Luca, seguito da 500 sindaci?
“Atteso che non penso ci fossero 500 sindaci insieme a De Luca a Roma, sono fermamente convinto che, oltre nel metodo, De Luca stia farneticando anche nel merito.
Perché non c’è nessun ricatto politico messo in piedi da parte del Governo e ben che meno dal Ministro Fitto, il cui lavoro è trasversalmente riconosciuto da tutti i presidenti di regione.
I programmi per i fondi di coesione sono stati pensati e costruiti con un nuovo approccio, in controtendenza con il passato, e che punta a qualificare ed ottimizzare la spesa, nell’esclusivo interesse dei territori che ne potranno beneficiare.
Certo, questo modo di operare del Governo darà molto fastidio a chi pensa di utilizzare i fondi europei a proprio gusto e piacimento, senza preoccuparsi di raggiungere gli obiettivi di spesa previsti dagli accordi per lo sviluppo e la coesione”.
Un’altra questione calda è quella dell’autonomia differenziata…
“E’ un tema che riguarda una sfida per l’intero Paese, ma sia chiara una cosa: da uomo del Sud dico che, senza le risorse necessarie a garantire i LEP, questa riforma perde l’essenza stessa per la quale è stata pensata. Poi dico: non accettiamo strumentalizzazioni politiche proprio dal centrosinistra che nel 2001 votò la riforma del titolo V della Costituzione”.
Ma c’è il rischio di spaccare il Paese?
“Oltre quarant’anni di regionalismo ci dovrebbero suggerire che, ripensare a cosa non abbia funzionato nel percorso di decentramento dei poteri, non sia un peccato, ma un’occasione!
Sono straconvinto che i cittadini debbano essere messi nelle condizioni di poter usufruire degli stessi diritti, sia che essi siano campani, che lombardi piuttosto che piemontesi.
Quindi, garantire prima, lo stesso punto di partenza, e subito dopo, per le regioni che vorranno richiedere competenze esclusive su alcune materie, occorre responsabilità e qualità amministrativa per rendere efficienti servizi che oggi, soprattutto in alcune regioni del sud, sono ‘fatiscenti’.
Pertanto, il rischio non è quello di creare un divario tra Nord e Sud, ma far emergere le differenze tra amministrazioni capaci e non!”.
Quali sono le altre priorità del Sud?
“Penso alle infrastrutture come madre di tutte le battaglie. Da quelle stradali, ferroviarie e portuali.
Rendere il sud interconnesso è la grande sfida alla quale tutti siamo chiamati.
Il Governo sta facendo la sua parte, mettendoci risorse e una visione chiara. Ma anche le amministrazioni regionali e locali debbono fare la loro parte.
E non mi riferisco solo a grandi opere, ma anche alle strutture di collegamento che servono a rendere i territori del Mezzogiorno più attrattivi.
La competitività delle imprese è strettamente legata alla disponibilità di una rete adeguata di trasporti e di telecomunicazioni”.
Il suo impegno a rendere protagonista il Sud, è stato notato quando a Settembre scorso ha promosso in Calabria la convention “Se cresce il Sud, cresce l’Italia, cresce il Sud dei Conservatori europei”.
Da dove è nata quell’idea?
“L’evento dei Conservatori europei è servito a ribaltare un paradigma che immaginava un Sud piagnone e col cappello in mano nei confronti dell’Europa.
Siamo riusciti nell’intento di spostare in Italia, al Sud, la discussione su grandi temi europei, che prima sembravano fossero disciolti da distanze siderali dalle grandi famiglie politiche europee, a cui spetta il compito della costruzione di un’agenda che tenga conto delle aree periferiche del nostro continente”.
Quale è stato il risultato politico che può vantare il Mezzogiorno nell’aver ospitato un evento europeo di tale portata?
“La presenza di Ministri, Sottosegretari, di figure di riferimento del panorama politico europeo e nazionale, ma anche di profili accademici, è la testimonianza di un contributo tangibile alla formulazione di un’idea di Europa vicina ai territori, in grado di riconoscere e promuovere le loro vocazioni.
Il Sud si è fatto trovare pronto ad un evento che ne ha esaltato meraviglie e potenzialità, senza rinunciare a quel ruolo da protagonista che la storia e la geo-politica gli hanno affidato. Nella convention dell’ECR non si è discusso infatti di cosa possa fare l’Europa per il Mezzogiorno, ma di come, e con quali ricette, le regioni del Sud possano giocare un ruolo centrale nell’Europa che verrà”.